lunedì 9 maggio 2016

I segreti del sonno, ecco chi dorme di più al mondo

Si chiama Entrain, ed è un’app messa a punto dagli scienziati della University of Michigan: ha raccolto dati sulle nostre abitudini notturne. Ecco chi dorme di più...

Gli abitanti di Singapore Giappone, con 7 ore e 24 minuti e 7 ore e 30 minuti, rispettivamente, sono quelli che dormono meno al mondo. Gli olandesi, al contrario, sono quelli che godono di più il piacere ristoratore del sonno, con una media di 8 ore e 12 minuti al giorno. Ma anche gli italiani, con 7 ore e 53 minuti, si difendono bene: sono i dati che emergono dalla mappa mondiale del sonno appena messa a punto da un’équipe di scienziati della University of Michigan, coordinata da Daniel Forger e pubblicata sulla rivista Science Advances. Lo studio, i cui risultati, secondo gli autori, potrebbero aiutare a risolvere la cosiddetta crisi mondiale del sonno, ha svelato inoltre che le donne di solito dormono più degli uomini.

I dati sono stati raccolti usando un’app per smartphone, chiamata Entrain, inizialmente progettata per aiutare gli utenti a recuperare dal jetlag. “Dai dati è emerso”, ha spiegato Forger alla Bbc “che c’è un conflitto tra il nostro desiderio di restare svegli fino a tardi e il ritmo circadiano del nostro corpo, che ci imporrebbe di alzarci presto di mattina.
La società ci spinge ad andare a dormire tardi, mentre l’orologio biologico del corpo vorrebbe ci svegliassimo presto. Questo scenario ci obbliga a sacrificare ore di sonno, un fenomeno che abbiamo chiamato ‘crisi mondiale del sonno’. Per quanto riguarda le nazioni in cui si dorme di meno, mi chiederei proprio cosa fanno gli abitanti di notte: cenano tardi? Continuano a lavorare?”.
Stando all’analisi dei dati dei circa 8mila utenti che hanno consentito il monitoraggio del proprio sonno, le donne dormono, in media, 30 minuti in più degli uomini, in particolare nella fascia d’età tra 30 e 60 anni. E ancora: chi è più esposto alla luce naturale tende ad andare a letto prima degli altri. Ecco qualche altro dato: gli italiani vanno a letto, in media, alle 23:42, e si svegliano alle 7:35. Gli australiani sono quelli che si coricano (22:42) e svegliano (7:35) prima di tutti; dalla parte opposta della classifica ci sono gli spagnoli, che vanno a letto alle 23:45 e si svegliano alle 7:36.
di Sandro Iannaccone tratto da Wired

venerdì 6 maggio 2016

Benedetto Ignazio Roiter ! Telethon

Ha individuato per primo l'insonnia fatale familiare, un'encefalopatia da prioni invariabilmente mortale. Stiamo parlando di Benedetto Ignazio Roiter, presidente dell’Associazione familiari insonnia familiare fatale - malattie da prioni (Afiff)




Nato nel 1948 a Meolo (Ve), Ignazio Roiter si è laureato in Medicina e chirurgia presso l’Università di Padova.

Successivamente si è specializzato in Malattie infettive a in Endocrinologia, rispettivamente presso le università di Modena e di Padova.


Attualmente Ignazio Roiter è responsabile dell'unità operativa di Medicina presso l'Ospedale di Oderzo-Ulss 9 di Treviso.

Scheda riassuntiva di Ignazio Roiter su telethon

mercoledì 4 maggio 2016

Cos'è l'insonnia fatale familiare

Non si dorme più fino a morirne. È l’insonnia fatale familiare (Iff) una rara patologia da prioni, di origine genetica, che colpisce il cervello e per cui non esiste cura. 
È il probabile destino di due fratelli australiani, Lachlan e Hayley Webb, portatori sani (al momento) della Iff. A causa della malattia hanno dovuto dire addio alla nonna, alla mamma e a due zii.
«Mia nonna iniziò a spegnersi dopo la comparsa della malattia - ricorda Hayley -. La sua vista se ne andò, mostrava segni di demenza, aveva allucinazioni e non poteva parlare. È una malattia incredibilmente aggressiva».
I due fratelli, di 28 e 30 anni, stanno ora partecipando a uno studio sperimentale dell'Università della California che ha come obiettivo la ricerca di una cura al momento inesistente.



Descritta per la prima volta nel 1986 in una famiglia italiana, poi in Francia, Germania, Inghilterra, Austria, Giappone, Australia, Pakistan, Cina e Stati Uniti, la malattia si manifesta intorno ai 50 anni e porta alla morte in un arco di tempo che va da sei mesi a due anni. 
I sintomi sono sudorazione continua, tremori, disturbi comportamentali, decadimento cognitivo e un rapido e inarrestabile dimagrimento, ma soprattutto l’impossibilità di “chiudere occhio”, a causa della morte dei neuroni in quelle parti del cervello che controllano l'alternanza tra sonno e veglia.
Sotto accusa, spiega il dottor Ignazio Roiter, medico di Treviso che per primo intuì qualcosa di strano dietro quell'albero genealogico decimato, è una rarissima malformazione genetica, “parente” del morbo della mucca pazza. Legata a un difetto cromosomico che normalmente compare con una probabilità di 1 su 33 milioni, ma che per i parenti della sfortunata dinastia rappresenta una spada di Damocle pronta a colpire in un caso su 4.
Nell'86 il morbo finisce sulle pagine del New England Journal of Medicine, e nel marzo del 2000 la sventurata famiglia veneta seppellisce il suo ultimo morto: un industriale di 47 anni deceduto dopo un'agonia ormai da copione, spiega Roiter. I discendenti di questa ennesima vittima sono in tutto 304, e 50 di loro si sono anche sottoposti a uno specifico test del DNA. 
«Putroppo contro l'azione dei prioni, gli stessi responsabili del morbo della mucca pazza e della malattia di Creutzfeldt-Jakob, a nulla valgono anche i più potenti sonniferi. La malattia ancora oggi non si può contrastare - spiega il neurologo Alberto Albanese della Cattolica di Milano - e porta inevitabilmente alla morte: l'organismo va in tilt». 
«Il tracciato elettroencefalografico dei malati durante il sonno - aggiunge Orso Bugiani, neuropatologo dell'Istituto Besta di Milano - somiglia molto più al tracciato tipico della veglia. L'organismo cede per sfinimento. E finora, nel mondo, sono state descritte circa 25 famiglie con questa malattia». 
«Il prione è una proteina che abbiamo tutti — spiega Roiter —. Una mutazione del genoma la trasforma in una proteina indistruttibile che si accumula nella cellula. Quando l’accumulo diventa critico il neurone si suicida. Quella piccola parte del talamo che è colpita ha un contingente di circa 300 mila neuroni, nulla in proporzione ai miliardi che ci sono nel cervello. Eppure sono quelli critici, perché sono i semafori che fanno passare o fermano gli impulsi esterni. Se mancano quei neuroni, il messaggio è sempre verde, per cui il cervello è inondato da un flusso continuo di stimoli come durante la veglia».
Ora però c’è uno strumento in più per studiare la malattia e comprenderne i meccanismi. Ovvero un topo transgenico in cui è stata inserita la variante maligna della proteina prionica (il prione) e che riproduce le caratteristiche principali della malattia umana.
Il modello è stato sviluppato dal gruppo di Roberto Chiesa del Dipartimento di Neuroscienze dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano, in collaborazione con Luca Imeri del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano e con Fabrizio Tagliavini della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta”.
«I primi studi effettuati sul topo modello – spiega Roberto Chiesa - suggeriscono che la causa della disfunzione e della morte dei neuroni sia l’accumulo della proteina prionica nella via secretoria, ovvero in quel compartimento all’interno della cellula in cui transitano le proteine destinate alla membrana cellulare o all’esterno della cellula».
Lo studio, finanziato da Telethon, dal Ministero della Salute e da Fondazione Cariplo, è stato pubblicato sulla rivista PLOS Pathogens ed è un importante passo avanti, anche se la strada verso la cura di questa rara patologia è ancora lunga. I ricercatori, però, avranno la possibilità di studiare la malattia su un animale – e non solo sulle cellule di laboratorio che pur utili non riproducono la complessità del cervello – e potranno valutare l’efficacia di eventuali terapie che auspicabilmente verranno messe a punto.

di Andrea Sperelli tratto da Italia Salute